di Lucia Votano
Articolo tratto dal volume “Progettare il Futuro. Dieci anni di solidarietà e innovazione” di Fondazione Vodafone Italia

Nel recente dibattito tra “nuovo realismo” e pensiero ”post moderno” seguito all’uscita del manifesto di Maurizio Ferraris, in questo antico e sempre attuale interrogarsi sulla natura del rapporto tra essere umano e realtà, mi diverte particolarmente la crescente consapevolezza dei nuovi realisti, così come di altre scuole di pensiero, di non poter prescindere dalla scienza nel fare filosofia. Sarebbe per me più appropriato dire che la filosofia non può più permettersi di ignorare l’impianto teorico, basato sui risultati sperimentali, per mezzo del quale la fisica descrive il sistema delle particelle elementari e delle loro interazioni. Sono questi gli elementi con cui si costruisce la realtà nelle sue infinite e complesse manifestazioni, dall’uomo alla misteriosa materia oscura dell’Universo. Il Modello Standard delle particelle elementari, la meccanica quantistica, la relatività einsteiniana rappresentano lo stato dell’arte della conoscenza umana della realtà osservabile e del rapporto dell’uomo con essa.
Tutto ciò è il risultato della ricerca di base che si nutre della innata
curiosità dell’uomo verso se stesso e ciò che lo circonda e che ha come unico
scopo la conoscenza.
Un’altra esarcebata divisione, nata peraltro solo alla metà del secolo scorso, genera accesi dibattiti ed è quella tra ricerca di base e ricerca applicata, tra scienza e innovazione tecnologica. Potrebbe sembrare questione di poco conto, se non se ne comprendono le importanti implicazioni sulla vita sociale, economica e culturale di un Paese. Semplificando troppo si può dire che esiste un solo tipo di ricerca ed è la buona ricerca, ma il tema è complesso e merita studio e approfondimento. La attenta valutazione e misura dei pesi relativi tra ricerca di base ed applicata deve condizionare la definizione dei piani strategici della ricerca e dei piani di sviluppo del Paese. Insieme all’analisi degli enormi cambiamenti indotti a livello globale dai massicci investimenti dei paesi emergenti in alta formazione, in ricerca di base e innovazione tecnologica, dovrebbero costituire una parte importante dell’agenda politica e essere alla base di una strategia volta ad evitare la evidente e progressiva marginalizzazione dell’Europa e in particolare dell’Italia.
A favore della ricerca di base si possono portare moltissimi esempi di come essa abbia contribuito al progresso e al miglioramento della vita dell’uomo. Viene spesso citato l’esempio di Faraday il quale si dedicò allo studio dell’elettromagnetismo senza aver certo in mente quale sostanziale cambiamento avrebbe portato l’uso dell’elettricità nella vita quotidiana o delle onde eletromagnetiche nella comunicazione. Cosa dire poi del World Wide Web, inventato da Tim-‐Berners-‐Lee al CERN di Ginevra per scopi puramenti scientifici. E infine mi piace citare un possibile effetto della misura effettuata ai Laboratori INFN del Gran Sasso dei geo-‐antineutrini provenienti dalla crosta e dal mantello terrestre. Originati dai decadimenti dalle catene di isotopi radioattivi di Uranio, Torio e Potassio all’interno della terra, essi potranno forse nel futuro aiutarci a capire meglio l’origine e il trasporto del calore terrestre alla base dei movimenti tettonici e delle loro conseguenze a volte distruttive.
Dall’altra parte è indubbio che, ad esempio, la ricerca applicata finalizzata alla scoperta della causa e cura di gravi malattie che affliggono l’umanità, ha un impatto sociale più immediato e tangibile.
Inoltre gli elevati costi delle grandi infrastrutture necessarie per alcune linee di ricerca di base, l’ingenua aspettativa di effetti e ricadute immediati della ricerca sulla vita quotidiana, la necessità di favorire l’innovazione tecnologica delle imprese, nonché il divario culturale tra scienza e società, potrebbero suggerire scorciatoie che tuttavia alla lunga si rivelebbero deleterie. Penalizzare eccessivamente la ricerca fondamentale o considerare le università e i centri di ricerca unicamente come sportelli a cui affidare la soluzione di problemi tecnologici delle imprese, ne potrebbero rappresentare un esempio. Per quanto detto in precedenza, risulta invece evidente che i grandi miglioramenti della vita dell’umanità sono strettamente correlati ai grandi salti della conoscenza di base dei fenomeni; scherzando noi diciamo che la lampadina non è il frutto di lunghe ricerche applicate al miglioramento delle candele.
In tempi recenti con lo sviluppo del mercato hitech si è già prodotto un fenomeno virtuoso: il trasferimento sempre più rapido delle tecnologie di punta sperimentate dalla ricerca di base (in particolare la fisica e la astrofisica) alle aziende più innovative. Le tecnologie sviluppate in modo prototipale dalla ricerca fondamentale sono sempre più appetite in un mondo dove la competizione globale si basa molto più sull’innovazione di prodotto che su quella di processo.
E’ imperativo tuttavia cercare con sempre maggiore impegno innovativi strumenti per favorire la valorizzazione e la trasformazione produttiva della conoscenza. Dobbiamo “ricercare” come creare reti intelligenti, fisiche e virtuali, in cui risultati di ricerche in campi anche molto diversi si intreccino e si incontrino con le esigenze di miglioramento della salute dell’uomo o di alleviamento di disagi sociali, di soluzione dei problemi climatici o soddisfacimento di esigenze di innovazione tecnologica. Se Internet e WWW stanno producendo una rivoluzione culturale paragonabile all’invenzione della stampa, un’altra grande rivoluzione potrebbe essere indotta dalla trasformazione in sistema stabile e non episodico della interconnessione tra scienza e innovazione, tra scienza e qualità della vita e benessere economico.